“A Night in Kinshasa” lo spettacolo teatrale di Federico Buffa su un incontro immortale. Di Stefano Mangione

Prendere per mano lo spettatore e
farlo montare su una macchina del tempo in grado di fare da spola tra Africa e Stati Uniti, ingannando il tempo e lo spazio, alla ricerca di tutti
i personaggi, i luoghi e le musiche che hanno contribuito prima, durante e dopo
all’immortalità di quell’incontro svoltosi il 30 ottobre 1974, alle ore 4 del
mattino locali, nella capitale dell’allora Zaire,
oggi denominato Congo. 
“A Night in Kinshasa” è uno spettacolo teatrale che tradisce magnificamente
le aspettative di chi immaginava un racconto di solo sport. È proprio questa la
ragione per cui il match tra George
Foreman
, detentore del titolo mondiale, e Muhammed Alì, che glielo avrebbe strappato proprio quella sera, è “molto più di un incontro di boxe”. Esso
è una tessera che si incastra perfettamente nel mosaico storico-socio-culturale
dell’epoca rappresentandone un punto cardine e un passaggio quasi imprescindibile.
Federico Buffa carpisce
quest’importanza e con la sua straordinaria capacità comunicativa ed una
speciale lente d’ingrandimento, sempre attenta ai legami tra le persone e i
fatti, immerge lo spettatore in una narrazione che coinvolge politica,
razzismo, difesa dei diritti umani, musica, religione ed amicizia. 
Flashback e flashforward si
inseguono e si intrecciano fino a plasmare una trama unica e completa che per
poco più di 90 minuti contestualizza ed impreziosisce il racconto di una delle
notti più epiche della storia dello sport, tenutasi in un Paese tormentato
dalle contraddizioni e dalle violenze. 
In prima fila nella storia
raccontata da Buffa vi è infatti lo Zaire. Lo Zaire dell’efferato despota Mobutu Sese Seko che dopo aver scucito
dalle casse dello Stato ben 10 milioni di dollari – e aver allestito una
prigione ad hoc dove sarebbero stati rinchiusi 2000 tra i peggiori criminali della città, tra cui un centinaio prelevato a caso sarebbe stato ucciso qualche giorno prima dell’evento – compose il
numero di un organizzatore d’eventi che sfuggiva, e sfugge tuttora, ad ogni
tentativo di catalogazione: Don King.
Il tutto per promuovere una nazione la cui economia si basava “sul sangue e sui
diamanti”. 
Alì, non appena mise piede
nell’aeroporto di Kinshasa, sposò immediatamente la causa africana, lasciando
che le sue origini antiche prendessero il sopravvento sul sangue irlandese e
americano che scorreva da diverse generazioni nelle sue vene. Egli lanciò un
urlo che rimbombò nei cuori congolesi ma che portò con sé molto di più rispetto
ad un tentativo di scatenare la folla contro il suo avversario. Nella celebre
frase “Foreman è un belga” vi è la
denuncia storica di uno dei tanti genocidi perpetrati sul suolo africano ad
opera delle potenze colonizzatrici bianche – in questo caso il Belgio del
terribile Re Leopoldo. In quella frase vi è la grandezza di un uomo che 10 anni
prima abbandonò il cognome da bianco per abbracciare quello da nero, eregendosi a simbolo indiscusso della lotta al razzismo, diventando
il primo afroamericano ad opporsi ad un establishment che 3 anni prima voleva
rinchiuderlo in una prigione con l’accusa di renitenza alla leva e quasi 30
anni dopo gli conferirà la Medaglia Presidenziale della Libertà.

Federico Buffa, con l’aiuto di
Alessandro e Sebastiano Nidi rispettivamente al pianoforte e alle percussioni, offre
a chi lo ascolta uno spaccato della società americana, e per farlo si serve dei
personaggi più significativi dell’epoca. Non potevano non trovare spazio in
questo racconto che procede in un crescendo di emozioni e  di aneddoti ma anche di vittorie sociali e
fragorose sconfitte, Tommy Smith e John Carlos, le Black Panthers di Messico ’68,
Miriam “Mama Africa” Makeba, Jim Brown e Kareem Abdul-Jabbar che cercarono di
dissuadere  il giovane Alì dal combattere
contro lo Zio Sam, e tanti altri nomi della cultura, dello sport,  della politica e della religione.

Alì fu un’ icona di nicchia prima e popolare poi, il cui animo profondamente religioso fu sempre rivolto all’armonia e all’equilibrio. Ne è testimone l’intimo dialogo tra lui e il suo acerrimo rivale George Foreman con il quale si chiude lo spettacolo. Una conversazione che suggella uno spettcolo teatrale che riempie il cuore e le coscienze ma che soprattutto si conclude con un messaggio di unione e di speranza. “Un messaggio – come dice il narratore di Sky – da non lasciare andare, oggi più che mai”.

A cura di Stefano Mangione


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