Se la Roma disgusta persino Pallotta….di A.Spada

Per battere
squadre nettamente inferiori non occorre essere in forma, correre come
forsennati, avere un grande allenatore, essere fortunati o avere Marte in linea
tratteggiata con Plutone.
Occorre svolgere
il proprio compitino con applicazione e tornare a casa coi tre punti. Un po’
come ha fatto ieri sera la Juventus che, lungi dal perdere la pazienza di
fronte alla coriacea ed ordinata resistenza ciociara, ha applicato alla lettera
la teoria del “dai e dai che prima o poi” ed ha vinto come da pronostico.
La Roma domenica è
stata colpita ed affondata da un Bologna ottimo per applicazione ed ordine
tattico, superlativo per grinta e voglia ma che poca roba era e poca roba
rimane.
Da qui la domanda
da miliardo di dollari: cosa deve fare una squadra forte per perdere,
meritatamente, partite del genere?
A pensarci bene
non è facile trovare una risposta. Farsi mandare in crisi in 11, per quasi 90
minuti,  da un terzino che spinge (il
bravissimo Mattiello), da una punta che lavora solo per la squadra e da un
giovane svedese che non teme i contrasti (Santander e
Svanberg) è impresa ardua; impresa
che può riuscire solo se sei al capolinea, a motore spento e senza gasolio.
La Roma è un
grosso e pesante bus scarico, parcheggiato al capolinea. Immobile ed
inamovibile, e quanto appaiono comiche le parole di De Rossi dopo
l’eliminazione contro il Liverpool: “dobbiamo lavorare per giocare queste
partite ogni anno non ogni 30”.
La prima a
scompisciarsi è stata la società che, per evitare imbarazzi in Europa, ha
subito smontato la squadra.
Alla fine non è
una novità se sei un presidente straniero per il quale Roma o Poggibonsi a
parità di popolazione non farebbero differenza. La novità qui sta nel fatto che
la ricostruzione è affidata al re dei dilettanti: Monchi.
Il superpompato
dirigente spagnolo ha portato alla Roma gente raccapricciante: Moreno,
Gonalons, Marcano, Pastore, Kluivert, Coric, Bianda. E venduto Allison,
Strootman, Naingollan nell’anno in cui la Champions aveva garantito introiti
vicini alle tre cifre.
Il povero Di
Francesco ha fatto l’errore più grande: essere aziendalista, piegare la testa
ed andare avanti pensando di fare un miracolo. Ma se quelli attorno a te, ossia
i calciatori, capiscono che ti stai piegando con la società per chiedere loro
di ripartire da zero, meno forti, un anno più vecchi e con la sola prospettiva
di essere venduti per fare plusvalenze allora ti abbandonano. E non serve
prendere a pugni le panchine o urlare disposizioni. Nemmeno invocare il fuoco
dentro se fino al giorno prima sei stato pompiere silenzioso ed ossequioso.
Capisco che non
possa imitare le pretese di colleghi  molto più famosi e vincenti ma prendere
esempio da Gasperini, che non si è fatto alcun problema a criticare il mercato
dell’Atalanta, è il minimo sindacale.
L’annata è
compromessa perché nessuno vorrà riparare. Fingersi grandi avendo piedi d’argilla,
zero progetti e solo una grande voglia di plusvalenza è un giochino simile al
canestro a occhi chiusi, ti va bene una volta su mille.
L’anno prossimo
resta solo Manolas da vendere per fare plusvalenze, poi svanirà l’effetto Sabatini
e resteranno le macerie anzi, le macerieS.
Pallotta di
dice disgustato, almeno stavolta sono sicuro non stia pensando ai conti.
Angelo Spada

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